CSI: Italia

Votes given by Scarter

view post Posted: 18/1/2015, 19:22 by: roshymania     +1Messaggio allo Staff - Help Forum
ciao ragazzi come funziona il punteggio x favore?
view post Posted: 19/5/2011, 14:26 by: Neh.LVPD     +1Che effetto ha avuto CSI su di voi? - Varie ed Eventuali
Da piccola quando lo guardavo, poi creavo le mie scene del crimine! Seguo da sempre gialli e thriller, amo Agatha Christie e devo dire che sin da bambina non facevo altro che pensare "voglio essere come Grissom e la signora in giallo" diciamo che ultimamente a forza di "drogarmi" di CSI ho cominciato ad osservare ogni dettaglio di ciò che mi circonda, noto di più le tracce che lascio di me in giro, la cosa è preoccupante xD
view post Posted: 16/5/2011, 18:28 by: signorina B(u)onasera     +1CONTAMINAZIONE - Fan Art e Fan Fiction
:aka:
Il titolo e la trama sono ispirati ad un episodio di una famosissima serie tv degli anni novanta, di ambientazione completamente diversa. Non vi dico quale per non guastarvi la sorpresa, ma sono sicura che quelli che, come me, non sono più "disgustosamente giovani" capiranno facilmente di che si tratta.
Ho scritto "interattiva" perchè, ad un certo punto, saranno i vostri voti a decidere lo sviluppo della trama.
Un'ultima avvertenza: la storia comincia con un registro...e prosegue in maniera piuttosto inaspettata.
Buon divertimento...spero!


CONTAMINAZIONE

Quella mattina, molto presto, il detective Mac Taylor aveva chiamato a raccolta in sala riunioni tutti i componenti della sua squadra, i migliori agenti della polizia scientifica di New York.
“Sarà successo qualcosa?” chiese Stella Bonasera a Danny Messer mentre raggiungevano la sala.
“Non so, ma da stamattina qui c’è un certo fermento, Mac non ti ha accennato nulla a telefono?” rispose il ragazzo.
“No, sai quanto sia riservato…però mi è sembrato un po’ cupo” fece lei.
“Sai che novità!” scherzò lui di rimando. Si scambiarono un sorrisetto d’intesa.
Erano arrivati.
Lui le aprì cavallerescamente la porta a vetri della stanza, dove già li aspettavano Lindsay, Sid, Adam, il dottor Sheldon Hawkes ed il detective Don Flack.
E, ovviamente, Mac.
Si salutarono. L’atmosfera era piacevolmente rilassata.
Fino a che Mac non iniziò a parlare.
“Bene” disse, e il suo tono lasciava trasparire una certa preoccupazione “vi ho fatti venire qui tutti per una questione estremamente importante, ma anche estremamente delicata…” fece una brevissima pausa “si tratta di un caso di sicurezza nazionale”.
Ad Adam sfuggì un “WOW” meravigliato, che gli costò un’occhiataccia di Mac.
“Sono stato contattato dal Direttore della CIA in persona: ha bisogno delle nostre competenze per risolvere un caso urgente e molto complesso, dal quale potrebbe dipendere la sicurezza dell’intero Paese”.
Tacque un momento, sentendo l’attesa crescere nei suoi uomini.
“E’ anche una questione dannatamente pericolosa…dovremo muoverci con estrema attenzione, per cui se, quando avrò finito, qualcuno di voi vorrà chiamarsene fuori non potrò dargli torto”.
“Dai Mac, adesso ci stai facendo preoccupare sul serio!” intervenne Stella “vuoi spiegarci?”.
“Ok” fece lui “ma prima, per favore, chiudete la porta a chiave: è inutile dirvi che non una parola dovrà uscire da questa stanza”.
Con un piccolo telecomando, abbassò le luci nella sala.
Nel buio, Lindsay prese la mano di Danny e la strinse forte.
Sullo schermo alle spalle di Mac comparvero quelle che sembravano le immagini riprese da telecamere interne di sorveglianza.
“Si tratta di una struttura segreta creata qui a New York, destinata all’addestramento di agenti speciali ed alla preparazione di missioni antiterrorismo”.
La qualità del video era scarsa, ma si potevano comunque distinguere dei cadaveri, riversi gli uni sugli altri, in pose scomposte. Non sarebbe stato necessario essere dei poliziotti esperti per comprendere che lì era stata consumata una strage.
I corpi di uomini e donne giacevano seminudi, coperti di sangue.
Ovunque, segni di lotta ed oggetti infranti.
Stella si avvicinò allo schermo.
“Ma…sono tutti…” disse
“Morti” concluse Mac “quattordici tra i nostri migliori agenti speciali, uomini e donne perfettamente addestrati…”
“Le cause?” intervenne Flack.
“Dai primi rilievi sembrerebbe che si siano uccisi tra loro” rispose Mac “non sono state trovate tracce di intrusioni e la struttura non era facilmente individuabile dall’esterno”.
“Com’è possibile?” si chiese a voce alta Lindsay
“Cosa avrebbe potuto far perdere del tutto il controllo ad agenti altamente addestrati?” disse Sheldon “follia collettiva? allucinazioni? isteria?”.
“Oppure un virus sconosciuto…” si inserì Sid.
“E poi…perché i cadaveri sono seminudi?” intervenne Stella.
“Giusta domanda” fece Mac.
“Se non fossero tutti morti…si direbbe che fossero nel bel mezzo di un party selvaggio!” disse Danny, strappando a tutti un sorriso.
“Per ora, queste ipotesi sono valide tutte…e nessuna, sta a noi cercare le risposte”.
“Bene, allora si va?” chiese Flack.
“No” Mac scosse la testa “forse non mi sono spiegato: nessuno di noi si muoverà da qui, la struttura era segreta ed è già stata smantellata”.
“Vuoi dire che non potremo fare un sopralluogo sulla scena, né prelevare campioni o scattare fotografie?” il tono di Danny si era fatto inquieto.
“Esatto” rispose lui “non abbiamo le credenziali necessarie e l’identità degli agenti deceduti deve restare riservata, anche ora che sono morti…”
“Quindi niente cadaveri, né autopsie?” intervenne Sheldon.
Mac annuì, le braccia conserte, lo sguardo serio.
“Né tanto meno impronte digitali” concluse.
“Ma, allora, come faremo a condurre l’indagine?” chiese Stella, dando voce ai pensieri di tutta la squadra.
A questo punto, Mac si spostò leggermente di lato rivelando la presenza, sul pavimento, di una decina di casse metalliche, tutte ermeticamente chiuse.
“Dovremo accontentarci dei reperti che gli uomini della CIA hanno prelevato sul posto; qui dentro ci sono i video integrali della sorveglianza, campioni di tessuti e di sangue, e così via”.
“Ovviamente non i dati dei computer…” azzardò Adam.
“Ovviamente” rispose Mac “non…”
“Lo so, lo so…non abbiamo le credenziali necessarie per accedervi” lo prevenne Flack.
Tacquero tutti.
Mac capì che i suoi uomini si aspettavano che dicesse loro qualcosa.
“So che è un’indagine dannatamente complessa…” riprese.
“Una corsa ad ostacoli, direi!” fece Stella.
“Già” proseguì lui “ma la sicurezza della nazione potrebbe dipendere da come lavoreremo nelle prossime ore. Se deciderete di proseguire, pretendo da ciascuno di voi il massimo dell’impegno”.
Li guardò in viso uno per uno.
Nessuno disse nulla.
Nessuno si mosse.
Mac sorrise: era certo che non gli avrebbero voltato le spalle.
“Forza, al lavoro” disse.
Quello era tutto. Li aveva congedati.
Ad Adam e Flack toccarono i video delle telecamere interne, a Sid e Sheldon i campioni di tessuto prelevati dai cadaveri, mentre Lindsay e Danny esaminavano i reperti contenenti il sangue delle vittime ed i campioni di aria, acqua e delle altre sostanze rinvenute sul posto.
Stella e Mac, intanto, cercavano negli archivi informatici per verificare eventuali precedenti analoghi o segnali che denotassero una possibile matrice terroristica.

**********
“Un vero caso di sicurezza nazionale, wow!” disse Danny, abbracciando da dietro Lindsay, che era intenta a trasferire un campione di sangue da una provetta al vetrino che avrebbe poi passato sotto il microscopio.
La ragazza era nervosa e quel gesto inaspettato la fece sobbalzare.
La provetta si inclinò sul tavolo ed una minuscola - Dio, veramente minuscola - goccia di sangue schizzò Danny sulla pelle nuda, tra il guanto di lattice e la manica della camicia che l’uomo aveva arrotolata sull’avanbraccio.
Lui nemmeno se ne accorse, tanto era piccola.
“Stupido! Mi hai spaventata!” disse lei, tra il divertito e l’infastidito. A volte Danny faceva un po’ troppo lo spiritoso…
“Dai, Montana, non sarai mica preoccupata sul serio?” le chiese lui, con dolcezza, stringendola a sé.
Lindsay lo guardò negli occhi e la sua tensione si sciolse nell’abbraccio dell’uomo che amava.



view post Posted: 26/4/2011, 10:20 by: signorina B(u)onasera     +1LA GEOMETRIA NON E' REATO. Capitolo 3 - Fan Art e Fan Fiction
allora, che ne dite: riuscirà il nostro eroe a tenere fede ai suoi buoni propositi?


LA GEOMETRIA NON E’ REATO

Capitolo 3

Era parecchio tardi quando, quella sera, il detective Mac Taylor, dopo una lunga giornata di lavoro (con qualche interruzione…), varcò per la terza volta la soglia dell’hotel Giraffe, a Park Avenue.
Salì al trentaquattresimo piano.
La porta era socchiusa. Bussò ugualmente, ma non ebbe risposta.
Entrò.
Gwen era in piedi, al buio. Lo stava aspettando.
O forse, no.
A braccia conserte, fumava una sigaretta e guardava fuori dall’ampia vetrata, ove si stendeva, scintillante, il manto di luci di New York.
Aveva addosso solo una corta vestaglia di seta bianca, che lasciava poco spazio all’immaginazione. I capelli come sempre leggermente arruffati. L’aria stanca.
Praticamente, irresistibile.
Oh, Oh - disse, quando lo vide entrare, spegnendo la sigaretta in un bicchiere da cocktail pieno a metà che era sul davanzale. So che è vietato fumare in questo hotel, ma mandare addirittura il capo della Scientifica mi sembra un tantino esagerato!
La sua frase gli strappò un sorriso. Ma rispose: Sono qui solo per riprendere le manette… pensando che, probabilmente, non sarebbe più riuscito a pronunciare la parola “manette” senza provare imbarazzo.
Già, certo…disse lei, e, mentre le tirava fuori dal cassetto del comodino e gliele porgeva, rifletté un istante: le stava mandando segnali decisamente contraddittori… da quel pochissimo che sapeva di lui, le sembrava un uomo intelligente, che faceva un lavoro complicato ed era abituato a prendere decisioni rapidamente.
Possibile che, in questo caso, gli risultasse tanto difficile ammettere che era tornato lì soltanto perché desiderava rivederla?
Fece un altro tentativo.
Allora… - gli disse in tono allegro - che si fa? Sono tornata da poco, mi faccio una doccia ed usciamo, oppure mi faccio una doccia e NON usciamo…gli propose maliziosa, accentuando la parola “non”.
No, davvero - ribatté Mac, sulle spine - sono tentato, ma non credo sia il caso. E poi domattina devo svegliarmi prestissimo…
La ragazza sorrise; imprevedibilmente, quell’uomo le stava dando del filo da torcere.
Meglio così: sarebbe stato tutto molto più interessante.
“Comunque” - pensò divertita - “se vuole la guerra… guerra sia”.
Gwen scosse la testa e gli si avvicinò senza dire una parola.
Gli prese delicatamente i risvolti della giacca e, fissandolo, lo attirò a sé.
Avvicinò il viso al suo. Ormai era vicinissima. Mac poteva sentire distintamente il profumo della sua pelle, il suo respiro tiepido.
Ascolta - gli disse con dolcezza - io volevo solo rallegrarti la serata, ma non posso farci niente se per te è più importante essere perbene che essere…felice.
Senza dargli il tempo di replicare, si allontanò da lui.
Buonanotte - gli disse e il suo tono sembrava non tradire alcuna delusione.
Si voltò e, con un solo gesto, fece scivolare a terra la vestaglia che, senza rumore, cadde sul pavimento.
Andò verso il bagno e chiuse la porta. Non a chiave.
“Niente da fare” si arrese Mac, ancora una volta la sua bellezza e la sua assoluta mancanza di pudore lo avevano travolto.
Quando sentì il rumore dell’acqua della doccia, senza pensare spense il cellulare, l’uomo si tolse la giacca e la seguì in bagno.

**********

Quella volta il detective Don Flack aveva letteralmente inseguito il suo collega fuori dal laboratorio. Non resisteva più alla curiosità.
Gli si parò davanti a gambe larghe.
Mac lo guardò con aria stupita.
Che c’è, Don? - gli domandò. Il tono era sbrigativo, ma non sembrava seccato.
Non ti lascio andare finché non mi racconti cosa ti sta succedendo… replicò l’amico.
“Dannazione” - pensò Mac - “ è proprio così evidente?”. Scosse la testa con un leggero sorriso.
Ecco! - riprese Flack - non posso crederci, l’hai fatto ancora! Ma che diavolo ti ha preso?
Lui abbozzò. Non è che non voglia risponderti, Don…è solo che, onestamente, non lo so neanche io. La verità è che, per la prima volta in vita mia, non ho la minima idea di come sia iniziata questa cosa, né tanto meno di come andrà a finire…gli disse, con semplicità.
Flack era sbalordito, ma sapeva che l’amico non gli avrebbe raccontato altro per quella volta.
Infatti, lo salutò e salì in auto.

**********

Allora, Gwen, ci vediamo sabato sera al Monkey Bar ? - chiese Stella all’amica, in tono allegro.
Era riuscita a chiamarla durante una pausa del lavoro.
Lei esitò un istante. “Sabato” pensò. La sua ultima sera a New York, la mattina dopo sarebbe ripartita.
Non le andava di trascorrerla senza vedere Mac, ma non voleva nemmeno deludere la sua amica. La quale continuò.
Dai…non puoi mancare, ci sarà anche…Gwen capì e la interruppe, con tono esageratamente meravigliato. No!Davvero?finalmente mi farai conoscere il tuo “cavaliere oscuro”?come farai a trascinarlo in quel locale? beh, allora stai sicura che ci sarò… - ridacchiò - non me lo perderei per nulla al mondo!
Ok, a sabato - rise Stella e chiuse la comunicazione.
Sola in hotel, la ragazza si accese una sigaretta e, stesa sul letto, si lasciò andare ai pensieri. Avrebbe comunque trovato il modo di vederlo, nella sua ultima sera nella Grande Mela.
Poi, Tokio e, fino all’anno successivo, sarebbe tornata al suo lavoro a Vogue Japan.
O, magari - rifletté - avrebbe potuto prolungare la sua permanenza in città: la temibile Anna, chissà perché, l’aveva presa in simpatia e, forse, insistendo un po’, sarebbe riuscita ad ottenere qualche contratto anche lì a New York, per Vogue America.
Sicuramente sarebbe stato un salto nel buio, ma questo non la spaventava.
Di sicuro non aveva voglia di partire.
Forse, quella volta, aveva un buon motivo per restare.
In perfetta sintonia con i suoi pensieri, in quell’istante Mac bussò alla porta.
Senza domande, senza troppe aspettative, seguendo unicamente il corso dei loro desideri, avevano continuato a vedersi - ogni sera, ogni notte - in quella lunghissima settimana.
La seconda sera c’erano state risate.
La terza, tenerezza.
La quarta, confidenze.
La quinta, ricordi.
Ad un tratto, mentre era ancora sdraiata su di lui e teneva la testa appoggiata sul suo petto, Mac si era tirato su a sedere e, guardandola negli occhi, le aveva chiesto a bruciapelo: Perché non ti trasferisci da me finché sei qui a New York? Mica puoi restare in questo albergo a vita?
Lei lo aveva fissato con aria interrogativa, ma senza riuscire a nascondere l’emozione.
Dopo un istante di silenzio, l’uomo era scoppiato a ridere.
Non posso crederci - disse - sei rimasta senza parole, è un evento storico!
Lei ormai si era ripresa e, cercando di guadagnare tempo, la buttò sul ridere.
Ah, allora l’hai detto solo per questo…rispose sorridendo.
Ma, insomma - riprese in tono scherzoso - sei proprio sicuro? Sono disordinata, ritardataria, sono una pessima cuoca…sei certo di volere in casa una come me?
Mai stato più sicuro… - ribatté lui.
E poi non so cosa penserebbero i miei amici se sapessero che vivo con un poliziotto!
Quindi è questo il problema…ridacchiò lui.
In quell’istante, il cellulare che Mac aveva appoggiato sul comodino iniziò a squillare.
Lei fu più veloce e lo afferrò, mentre lui cercare di toglierglielo e rispondere. Dopo una breve lotta, Gwen riuscì rispondere per prima.
Pronto? - disse con voce un po’ affannata e soffocando una risata.
Dall’altra parte, udì la stessa voce da brivido della prima sera dire: Allora, detective Taylor, ti sei convinto a giocare con me?
Mi dispiace, ha sbagliato numero - gli disse nuovamente la ragazza, che non aveva alcuna voglia di essere interrotta.
Chiuse la comunicazione e, spento finalmente l’apparecchio, lo restituì all’uomo.
Avevano un discorso in sospeso e, tuttavia, non parlarono ancora molto quella notte.

**********

Stella e Mac durante quella settimana avevano lavorato a sue casi diversi, entrambi particolarmente complessi.
Così, si erano visti di sfuggita ed unicamente per questioni di lavoro.
Eppure, Stella aveva notato qualcosa di diverso nell’uomo: era come sempre concentrato ma, ogni tanto, le sembrava perso nei suoi pensieri.
Pensieri che, evidentemente, per ora non intendeva condividere con lei.
Come aveva previsto la sua amica, aveva faticato non poco e dovuto fare appello alla loro pluriennale amicizia per convincerlo ad uscire quel sabato sera.
Ci era riuscita ed ora si pregustava la serata ed i commenti spiritosi di Gwen: lo avrebbe senza dubbio massacrato, ma in maniera adorabile…

**********

Quel sabato sera, mentre andava all’appuntamento con Stella, Gwen cercava di fare chiarezza nel tumulto del suo cuore. Partire? Restare? Magari avrebbe chiesto consiglio alla sua amica, con la quale non era più riuscita a scambiare due chiacchiere. Certamente la sua saggezza l’avrebbe aiutata a decidere.
Ma, probabilmente, lei non ne aveva più bisogno.
Entrò nel locale, alla moda e molto affollato.
Si guardò intorno, ma non riuscì subito a scorgere la sua amica. Così, la chiamò al cellulare.
Stella rispose con voce squillante. Si, siamo qui, vicino al bancone del bar! Le disse.
Ok. Riattaccò.
Guardò nella direzione del bar.
Effettivamente, vide Stella sorridente, in compagnia di un uomo, che era di spalle.
Quando per un istante lui si voltò dalla sua parte, Gwen, nonostante le luci soffuse, il rumore e la folla, capì immediatamente.
Le mancava il respiro.
Si appoggiò con le spalle ad un pilastro, cercando di nascondersi alla loro vista e sperando che nessuno dei due l’avesse notata.
Com’era potuto accadere? e per di più in una città di otto milioni di abitanti?
Non riusciva a pensare lucidamente.
Di tutte le cose folli e assurde che le erano successe, questa era di certo la più incredibile. Quasi ridicola, se quella coincidenza non avesse, di fatto, condannato tre persone all’infelicità.
Respirò profondamente.
Ora, era calma.
Aveva preso la sua decisione.





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